di Alessandra Coretti
No nicchie sì avanguardie: queste sono le comunità del cambiamento secondo Francesco Luccisano, Presidente di Rena, associazione indipendente che riunisce i massimi esponenti dell’innovazione e artefice del primo Festival delle Comunità del Cambiamento.
Sabato 14 giugno infatti, alle 10.45 – con leggero ritardo rispetto alla tabella di marcia - suona la campanella per 480 partecipanti tra rappresentanti di associazioni, imprese, pubbliche amministrazioni, ma anche studenti, docenti, cittadini chiamati a raccolta presso Palazzo Re Enzo a Bologna.
Un incontro non un semplice evento, sostiene Luccisano, che, nel suo intervento di apertura, sottolinea come il festival voglia essere, innanzitutto, un’occasione per scambiare visioni e prospettive, per conoscersi e riconoscersi, insomma un momento per fare rete in maniera costruttiva.
E così è stato, e, nonostante i grandi nomi protagonisti della mattinata: 13 speakers ognuno in rappresentanza di un diverso ambito di riferimento, la kermesse è stata tutt’altro che ingessata, l’atmosfera per molti è stata quella di una grande rimpatriata, per altri, debuttanti come me nel mondo della social innovation è stata un’endovena di nuovi saperi e l’acquisizione di un nuovo lexicon fatto di parole chiave intorno alle quali sarà interessante tornare a ragionare.
Il ciclo di visioni è stato inaugurato da Damien Lanfrey, Consulente del MIUR Esperto di Politiche per l’Innovazione, il quale ci passa i suoi preziosi appunti sulla social innovation, srotolandone alcune possibili definizioni: <<essa è finanza nuova, è metodi per trovare soluzioni più aperte, è nuovo modo di organizzare il lavoro, è fare le cose, è condivisione di tempo e beni fisici, ma è anche una buona teoria per interpretare il passaggio da una società ad un’altra>>.
L’innovazione sociale come teoria del cambiamento riformula i problemi, chiede nuove cose, rifiuta soluzioni totali, appoggia invece nuove soluzioni organizzative date da processi di ibridazione, crea impatto.
La carrellata di visioni si protrae per circa quattro ore senza mai perdere per strada la verve. Il salone del Podestà di Palazzo Re Enzo rimane gremito di gente sino alla fine, probabilmente anche perché il compito di accompagnare i partecipanti all’uscita è stato strategicamente affidato a colui che è considerato la star del momento Annibale D’Elia, Sociologo e Dirigente della Regione Puglia, che con la sua inconfondibile capacità dialettica e raffinatezza di pensiero ci ha spiegato quali sono le caratteristiche che una PA dovrebbe avere per supportare il cambiamento al quale auspichiamo, ponendo l’accento su: accoglienza, condivisione delle risorse, leggerezza, generatività e infine spirito di servizio.
Nel pomeriggio, i ruoli si sono invertiti e i partecipanti sono diventati i protagonisti, invitati a parlare delle comunità che rappresentavano. Il tavolo di lavoro le comunità del cambiamento tra spazi collaborativi incubatori e accesso ai capitali, al quale ho preso parte, è stato utile per mappare alcune tra le più interessanti imprese, startup, associazioni a livello nazionale.
Tirando le fila del discorso emerge con forza che la criticità di fronte alla quale esse si scontrano non è attribuibile né alla mancanza di idee nuove, né all’insufficienza di capitali (almeno non esclusivamente), il grosso problema per chi fa impresa oggi è la mancanza di una adeguata cultura imprenditoriale e di contesti abilitanti. Le categorie economiche necessitano quindi di categorie culturali che le intercettino, supportino e interpretino. Questo mi ha portato a riflettere e a formulare alcune considerazioni sul significato che un incubatore di sogni, come Casa Netural, possa avere su un territorio, periferico, come quello lucano e anche sull’urgenza di averne uno prima ancora di potenziare il tessuto imprenditoriale locale. C’è una fase, solitamente ignorata, che precede il fare impresa e che ha a che fare con lo studio delle caratteristiche territoriali di riferimento e soprattutto con la sua attivazione. Casa Netural pone il suo epicentro di azione nel sogno degli individui, considerando il sogno centrale nell’idea imprenditoriale, il quesito che a questo punto non possiamo fare a meno di porci è: quali ripercussioni possono esserci su un territorio votato all’immobilità, se la domanda qual è il tuo sogno cominciasse a propagare le prime scosse?
La risposta ancora non l’abbiamo, ma stiamo lavorando per crearne una, e come noi tantissimi altri in Italia, con gli strumenti e le metodologie più diverse, stanno cercando di fare la differenza riscrivendo l’ingegneria interna del cambiamento che regali al Paese una nuova morfologia.
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